Una famiglia accogliente

Book Cover: Una famiglia accogliente
Part of the Italian Translations series:
Editions:Digital (Italian): $ 6.99 USD
ISBN: 978-1-63533-082-3
Pages: 108,003

Cresciuto  in affidamento, Kerry Grey ha poca autostima e ancora meno speranze per il suo futuro. Abbandonata l’università, sopravvive con un lavoro part-time in un vivaio. L’amicizia con il suo capo e lavorare con le piante sono quanto di più importante ha nella vita. Frequenta l’uomo che a scuola lo prendeva di mira con atti di bullismo, ma dopo che il suo amante lo abbandona a una festa, Kerry si ritrova a vagare lungo la spiaggia per affogare i dispiaceri in una bottiglia di scotch.

Malcolm Holmes e Charlie Stone stanno insieme da quindici anni. Nonostante Charlie desideri accettare la dominazione di Malcolm a letto, anche se non l’hanno mai formalizzata, nel loro rapporto sembra mancare qualcosa. Una mattina presto, salvano Kerry, che rischia di essere portato via dalla marea dopo essere svenuto. Charlie intuisce subito uno spirito affine nel giovane perduto. Quando il coinquilino di Kerry lo butta fuori di casa, Malcolm e Charlie lo invitano da loro. Mentre Charlie e Kerry creano un legame grazie al giardino di Charlie, Malcolm vede Kerry come la persona che stavano cercando per completare la loro vita. Tutto quello che devono fare è mostrare a lui, e dimostrare l’uno all’altro, che la tendenza a sottomettersi di Kerry si inserisce bene nella loro dinamica.

Ma qualcuno ha preso di mira il ragazzo. Mentre lotta per scoprire il colpevole, Kerry teme per la sicurezza dei suoi nuovi amici. Se Malcolm e Charlie non riusciranno ad aiutarlo, la loro ricerca del terzo uomo perfetto non potrà terminare con il lieto fine che immaginavano.

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Publisher: Dreamspinner Press
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CAPITOLO 1

E COSÌ mi ero imbucato alla sua festa. Non era che lui non mi volesse lì. Beh. Okay, forse non mi voleva proprio lì. Quella sera. Esattamente in quel momento. Ma mi avrebbe voluto dopo. In albergo. O a casa mia. Cavolo, volendo anche contro il primo muro utile.

“Che stronzata del cazzo, Kerry. Sei un idiota. Uno stupido, stupido idiota,” borbottai sottovoce contro me stesso, e non ricevetti obiezioni. Perché era vero. Ero stato un idiota. Quanto stupido dovevo essere per venire qui, a camminare sulla spiaggia, e a parlare a me stesso? Da solo. Facile bersaglio per qualche teppista che avrebbe potuto colpirmi in testa tanto per divertirsi un po’.

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Il solo pensiero che quello stronzo ammettesse qualcosa su di me e lui alla festa, davanti a tutti, specialmente davanti all’intera squadra di football, era pura follia. Cos’era quella voce idiota nella testa che mi aveva convinto che solo perché gli piaceva infilarmelo su per il culo allora voleva dire che gli piaceva anche altro di me? Due anni di bullismo a scuola sarebbero dovuti bastare alla mia testa dura per comprendere che un secchione patito di biologia non era alla sua altezza. E in realtà, stare sotto di lui mentre si scaricava in un preservativo non aveva nessuna importanza, men che meno ce l’avevo io.

Arrivai sul lungomare, ma anche qui le coppie che se l’erano svignata dalla festa erano così prese dal loro romanticismo al chiaro di luna che mi sentivo cariare i denti. Deviando a sinistra sul sentiero di legno che serpeggiava su per il pendio illuminato, mi diressi verso il buio e il profumo del mare. Avvolto in un nero vellutato e nel leggero sciabordio delle onde, potevo fingere che quello fosse il posto verso cui mi ero diretto fin dal primo momento. Alla fine, sentii affievolirsi i suoni della musica e le risate. Il basso rumore dell’avanzare del mare calmo sulla sabbia liscia mi raggiunse per prenderne il posto.

Il lungomare si innalzava in una serie di gradini e rampe che seguivano il bordo della scogliera che incombeva su di me mentre io ne costeggiavo la base lungo la stretta striscia di sabbia tra il mare e le rocce. Sapevo che si inoltrava verso l’interno per unirsi a una rete di sentieri che attraversavano il parco adiacente al golf club, e poi, alla fine, giungeva alle stradine tranquille del lussuoso quartiere lungo la scogliera. Quaggiù, però, c’erano solo sabbia, la schiuma delle onde e le tenebre silenziose.

“Che ragazzino stupido,” mormorai alla sabbia; chissà se intendevo lui, di un paio d’anni più giovane di me, o me stesso. Non ero più un ragazzino, ma quella sera mi sentivo come se lo fossi. Portai alle labbra la fiaschetta di Jack che avevo con me e piegai la testa all’indietro per scolare le ultime gocce. Sentii la sabbia scivolarmi sotto i piedi e quasi mi ritrovai col culo per terra. La bottiglia era vuota. E allora? La lasciai cadere, ripescai dalla tasca della giacca del vestito l’altra bottiglietta che mi ero portato appresso. Se ne avessimo bevuta una per ciascuno, sarebbero bastate per farci sentire leggermente brilli. Ma poiché, ovviamente, lui non ne voleva, ora erano più che sufficienti per farmi dimenticare che non si era nemmeno preso la briga di buttarmi fuori a calci dalla sua festa. Mi aveva semplicemente ignorato.

“Merda.”

Le scarpe eleganti non erano fatte per la spiaggia. Il sigillo di plastica della bottiglietta di scotch sembrava avercela con me e le mie unghie rosicchiate non riuscivano a strapparlo. Andrew Shelton-Bishop era un ragazzino ricco e viziato, giocatore di football e re del ballo, così bello da star male a guardarlo. E lui aveva scelto me per la sua prima scopata gay.

Quattro anni prima, Andrew, una matricola dell’infame quartiere dove avevo trascorso la mia infanzia, era riapparso improvvisamente dal nulla nel mio liceo, aveva fatto i provini e ottenuto un posto da titolare nella nostra squadra di football. Dopo il mio trasferimento in una nuova casa famiglia quando eravamo piccoli, ci eravamo persi di vista. Non sapevo, fino a quando non lo avevo rivisto al liceo, che sua madre si era risposata con uno ricco. Grazie alla donazione alla squadra delle divise da parte del suo patrigno, e al suo prezioso braccio destro, Andrew era volato dritto in cima alla scala sociale. Per qualche scherzo del destino, aveva messo i suoi occhi beffardi su di me. Avevo passato due anni a schivare le sue attenzioni, i suoi insulti, le gomitate e i pugni dei suoi amici, per lo più senza successo. Poi, proprio quando avevo pensato che sarei potuto sfuggirgli nascondendomi nel laboratorio di biologia, il mio ultimo anno di liceo si era trasformato in un incubo il giorno in cui avevo compiuto diciotto anni. Per la prima volta nella mia vita ero capitato in una famiglia affidataria decente e, improvvisamente, ero troppo grande per rimanere.

Davvero, avrei dovuto sapere che, dal momento in cui Andrew era sceso su quel campo di football, ero spacciato. Il finale perfetto per la mia triste carriera scolastica.

Poi, con tempismo perfetto, proprio quando mi ero finalmente ambientato all’università dopo il primo anno, dopo che avevo finalmente rimesso insieme i cocci della mia vita e stavo andando avanti con le mie gambe, si era presentato di nuovo. Aveva vinto una borsa di studio per lo stesso college che frequentavo ed era apparso un giorno, in biblioteca, implorandomi che gli facessi fare il giro del campus. Aveva fatto appello alla nostra amicizia perduta dopo l’infanzia, mi aveva assicurato che tutte le stronzate del liceo appartenevano al passato e mi aveva pregato di restare uniti. Perché ci conoscevamo. Andrew era stato selezionato dal college non appena aveva raggiunto l’età legale per entrare all’università e ora era solo dall’altra parte del paese. Era spaventato. O almeno così aveva detto.

E io ero stato così stupido da credergli. Quella notte mi aveva scopato fino a stordirmi, e ogni volta da allora, quando mi chiamava e mi diceva che ero l’unico con cui poteva davvero essere se stesso, mi piegavo a lui. Che sciocco. La mia ossessione per l’atleta che aveva trasformato in un inferno i miei anni di scuola superiore aveva gettato i miei voti e il mio futuro giù per il cesso, facendomi abbandonare gli studi.

Poi, quella sera, mi aveva guardato attraverso la pista da ballo, aveva sorriso e se n’era andato con Jenny Stronza Schlaz… Schlazinhoff, o come si chiamava. La cazzo di reginetta del ballo. Non si era lasciato sfuggire le prerogative tutte americane del suo rango. Nemmeno la sua bella, bionda ragazza di facciata, che mi aveva rivolto un sorriso tanto inquietante quanto trionfante da sopra la spalla di Andrew mentre lui la conduceva fuori. Il college aveva organizzato una festa per celebrare la vittoria della partita, ed eccola lì, la sua copertura, che mi sorrideva con uno sguardo perfido e meschino. Non era cambiato nulla.

A causa delle suole lisce delle scarpe eleganti contro la sabbia, finii bruscamente col sedere per terra. La bottiglia mi scivolò dalle dita; a dir il vero, mi volò via, in senso letterale, visto che non mi ero seduto con particolare grazia e le mie braccia avevano ruotato come una trottola subito prima che precipitassi verso il basso. Guardai la bottiglia scomparire nel cielo notturno. Un attimo dopo, da qualche parte alla mia destra, mi giunse il tintinnio di vetri rotti. E addio al bere per dimenticare. Ero bloccato, in mezzo al nulla. Di nuovo. Mi lasciai cadere di peso sulla schiena, sconfitto.

“Fanculo.”

Sentii i pantaloni impregnarsi del puzzo di alghe bagnate. Ben mi stava, anche il culo fradicio. Considerato fino a che punto ero arrivato perché me lo sbattesse la prima volta. Considerata l’idiozia dell’illusione, tutte le volte che lui si presentava, che quello avesse qualcosa a che fare con me, che potesse essere una relazione vera e propria, mi meritavo il culo ammollo.

“La mia vita fa schifo!” gridai al buio contro la bottiglia. Le mie rimostranze caddero nel vuoto attorno a me come una spolverata di frammenti scintillanti. Mi coprii il volto con un braccio, ma non mi fu di aiuto. Anche le ferite virtuali sanguinano, anche se ero l’unico a sapere che ero ferito, da solo, al buio, e sprofondai in un sonno indotto dall’alcol.

CAZZO, FACEVA terribilmente freddo. Matthew doveva essere stato nella mia stanza. Doveva averlo fatto, quel bastardo. Gli piaceva entrare e aprire tutte le cazzo di finestre per ’arieggiare’. Apriva persino quella sopra il mio letto quando intuiva che ero sbronzo o dolorante a causa di una visita notturna di Andrew. Doveva aver piovuto tutta la notte, perché ero fradicio. “Il peggior coinquilino di sempre. Fanculo. Quello stallone di stella universitaria del cazzo farà bene a comprarmi un materasso nuovo, cazzo.”

“Non credo di aver mai sentito nessuno dire così tante parolacce.”

“Credi che dovremmo svegliarlo?”

“Ma che cazzo!” Mi tirai su a sedere. La sabbia mi sfregava i palmi delle mani. La luce mi colpì gli occhi e mi lasciai andare contro la parete fredda. Solo che non c’era niente dietro di me e caddi di nuovo sulla schiena. Sentii il freddo penetrarmi nelle spalle fino a inghiottirmi.

“Attento.” Una mano si allungò verso di me, infilandosi nella mia ristretta visuale del mondo. Tutto era fin troppo luminoso. “Ti farai male.”

“Col cazzo! Chi cazzo siete?” Finalmente decisi di socchiudere le palpebre e mi guardai intorno. “Dove cazzo sono?”

Due uomini sfocati, in pantaloncini corti, scarpe da ginnastica e un sacco di pelle scoperta, erano in piedi su di me. La loro sagoma muscolosa si stagliava contro lo straziante azzurro chiaro del cielo. Le camicie svolazzavano dietro di loro. Entrambi allungarono delle grandi mani abbronzate verso il mio campo visivo per aiutarmi a raddrizzarmi.

“Questi sono tuoi?” chiese uno di loro, alzando una cosa scura, indefinita e sfocata.

“Dammi i miei occhiali del cazzo.”

Un lampo di bianco illuminò le loro facce annebbiate.

“Ne hai un paio di speciali per quello?” Uno dei due inclinò leggermente la testa. “Piuttosto perverso, direi.”

“Charlie.” L’altro lo guardò. Nella sua voce c’era un leggero ammonimento, ma anche un accenno di divertimento. Solo che non ero sicuro se fossi io la vittima del suo sollazzo o meno.

“Dammi i miei occh…” Sbuffai. “Posso per cortesia riavere i miei occhiali?” Alzai la mano, aspettandomi che la allontanassero con uno schiaffo e mi deridessero.

Sapevo come funzionavano le cose. Non appena si rendevano conto che non riuscivo a vedere un cazzo senza le lenti, me le tenevano fuori dalla mia portata per vedere a che punto di disperazione arrivavo per riaverli indietro. Era la solita tattica, e anni di esperienza dalla parte più debole della barricata mi avevano insegnato che essere educato era il modo più rapido per fargli perdere interesse e smettere di tormentarmi. Alla fine gettavano gli occhiali da qualche parte e mi lasciavano in pace.

Invece, una mano calda e forte afferrò la mia e uno strattone ancora più forte mi fece alzare in piedi prima che mi si dislocasse la spalla. Il mio piede tuttavia scivolò di nuovo e impattai con la faccia contro un ampio petto sudato e leggermente villoso. Non mi furono restituiti gli occhiali. Mi furono delicatamente sistemati sul viso e, dopo aver sbattuto le palpebre per rimettere a fuoco il mondo, mi trovai di fronte a due uomini bellissimi, probabilmente di una decina d’anni più vecchi di me, le braccia incrociate, un cipiglio quasi severo mentre mi studiavano a loro volta.

“Perso l’autobus per l’hotel?” mi chiese quello che non si chiamava Charles.

Sbattei di nuovo le palpebre verso di lui.

“La festa di ieri sera, ragazzo,” disse, indicando con un gesto il circolo del campo da golf lungo la spiaggia. “Ti sei dimenticato di tornare a casa? Perché, devo dirtelo, dormire sulla spiaggia non è un’idea brillante. Tanto per cominciare, il tuo vestito è completamente rovinato.” Raddrizzò delicatamente uno dei risvolti e tirò fuori il fiore che pendeva dal taschino e che avevo rubato da un bouquet. Lo gettò con un semplice movimento tra le onde.

Guardai in basso, a quei cinque centimetri d’acqua che mi lambivano i piedi.

“Marea in arrivo,” proseguì. “Sto parlando sul serio. Abbiamo colto delle coppiette limonare sul lungomare questa mattina presto, ma aspettare di essere portato via dalla marea? Era solo un ballo. Anche se la tua ragazza ti ha lasciato alla festa, non può andare così male.”

“Che diavolo ne sai?” mormorai.

Si guardarono l’un l’altro, poi di nuovo me, mentre mi tastavo le tasche alla ricerca delle chiavi e del telefono.

“Stai bene, ragazzo?”

“Sto bene,” mormorai, andando un po’ in panico quando non trovai nulla, solo le tasche vuote. “Mi dispiace di aver dormito sulla vostra preziosa spiaggia. Ci vediamo.” Mi voltai per tornare indietro da dove ero venuto la sera prima, sperando di ritrovare i pezzi della mia vita da qualche parte sotto la sabbia, ma la strada era impraticabile. La marea aveva divorato la spiaggia fino alla facciata di pietra della scogliera che sporgeva verso il mare per una quindicina di metri. L’acqua era salita di un altro paio di centimetri su per i miei pantaloni. Avevo la schiena incrostata di acqua salata e sabbia da quanto ero rimasto steso a terra, i miei piedi sembravano pezzi di ghiaccio all’interno delle scarpe.

“Dovrai passare da sopra, attraverso il giardino,” disse quello che non si chiamava Charles. “Non puoi tornare al club lungo la spiaggia e tra un quarto d’ora questa parte sarà sotto di quasi due metri.” Si voltò e sguazzò attraverso l’acqua che gli arrivava alle caviglie per raggiungere una serie di gradini che portavano a una sezione della scogliera scolpita nella roccia. “Vieni? Puoi anche rimanere lì tutto il giorno, ma,” inclinò la testa, “non mi piacciono le opzioni che ti sono rimaste. Rimarrai sotto il pelo dell’acqua.” Indicò il segno visibile della marea sulla parete.

“Non sono così basso,” protestai.

Entrambi ghignarono, ma i fatti erano fatti. Il livello dell’acqua sarebbe stato una ventina di centimetri troppo alto perché potessi comodamente toccare il fondo e respirare, e dal momento che nuotare con il completo elegante sarebbe stato alquanto stupido, li seguii su per le scale.

Il loro prato era due metri abbondanti sopra l’altezza massima dell’alta marea, ed era, a tutti gli effetti, un giardino, non solo un cortile con dei fiori. Mi condussero lungo un sentiero di pietra fiancheggiato da entrambi i lati da nuovi germogli che emergevano da arbusti sempreverdi ben curati. Dopo circa tre metri, il sentiero si aprì su un ampio prato. L’erba aveva cominciato a perdere quel colore giallognolo dell’inverno per assumere il verde brillante dei nuovi fili d’erba che spingevano attraverso il pagliericcio. Teli di juta e di tessuto non tessuto coprivano ancora le piantine apparentemente un po’ troppo deboli per il clima invernale, ma ai loro piedi, narcisi, giacinti e tulipani fornivano un tripudio di colori rispetto al resto dei germogli ancora scialbi.

“Wow.” Non potei farne a meno. Azalee e lillà profumavano il cortile, i fiori dal rosa brillante al viola tenue in bella mostra. Profumavano di promesse e novità.

Entrambi gli uomini sorrisero, uno al giardino, l’altro al suo amico.

“Charles è molto affezionato al suo piccolo progetto.”

“Affezionato al mio piccolo progetto.” Charles colpì l’altro sul braccio. “E Malcolm è un asino.”

“È un giardino bellissimo,” dissi, perché lo era davvero, e perché ero in grado di apprezzare il lavoro che ci era voluto. Se fossi stato anche solo lontanamente più sicuro dal punto di vista finanziario, sarei stato ancora profondamente immerso nell’ottimo programma di botanica del college locale. Invece lavoravo part-time presso il vivaio del posto, condividevo una stanzetta in una casa con uno stronzo egocentrico che mi aveva accolto solo per ridurre la sua quota di affitto, non perché avessimo qualcosa in comune o perché andassimo d’accordo. Sognavo da sempre di avere un giardino tutto mio dove poter sperimentare, ma più il tempo passava, più quel sogno si allontanava.

“Oh, benissimo. Anche tu?” Malcolm gemette e si girò verso la casa. “Signore, aiutami, ne ha trovato un altro.”

“Un altro cosa?” chiesi, sistemandomi gli occhiali sul naso per poi girarmi attorno per godermi la vista.

“Ti piace davvero?” ribatté Charles.

“Mi stai prendendo per il culo? Ucciderei per avere una cosa del genere. Amico!” Mi avvicinai al bordo del prato e mi accucciai. “Questi sono narcisi romance.” Presi tra le dita il delicato fiore bianco e rosa.

Charles si accovacciò accanto a me. “Malcolm mi compra un po’ di bulbi ogni autunno.” Sfiorò con un dito il bocciolo.

“Allora…” gli rivolsi un’occhiata. “Allora, in fondo, non detesta che ti dedichi al giardinaggio.”

Charles scrollò le spalle. “Mi concede le mie piccole gioie.”

Diedi un’occhiata all’anello che portava al dito, poi spostai lo sguardo su di lui e annuii. “Che romantico.”

Charles si rialzò. “Quasi come svenire ubriaco sulla spiaggia di uno sconosciuto alla prima festa da matricola.”

“Vaffanculo.” Mi alzai e mi avviai con passo pesante verso la casa.

“Mi dispiace!” gridò, ridendo. “È stato un colpo basso.” Mi raggiunse e mi mise una mano sul braccio. “Mi dispiace. Davvero.”

“E va bene.” Me lo scrollai di dosso. “Quando hai ragione, hai ragione.”

“Allora, la tua ragazza è tornata a casa con un altro?”

Bloccandomi sulla soglia del loro bungalow grazioso e ordinato, mi strinsi nelle spalle. “Sì, certo. Qualcosa del genere.” Non volevo riempirgli la casa di sabbia. “Sarebbe meglio che andassi.”

“Non essere sciocco.” Malcolm riapparve portando una tuta e degli asciugamani. “C’è una doccia all’aperto nel gazebo. Sarà fredda. Non abbiamo ancora acceso il…” Lanciò un’occhiata a Charles. “Quell’aggeggio solare, ma puoi lavare via il sale e la sabbia e cambiarti, almeno.” Mi allungò i vestiti. “Non puoi andare in giro per la città in quello stato.” Indicò il mio unico abito da sera, bagnato e rovinato.

“Senti, va tutto bene.” Restituii quello che mi aveva offerto. “Sono stato tanto stupido da svenire sulla spiaggia. Un problema mio. Non vostro.”

“Vogliamo solo aiutarti,” disse Charles piano. Non ero preparato a sentirmi scompigliare i capelli e sentire la sabbia cadermi in faccia.

Sputacchiai e feci un passo indietro. “Va bene.” Allontanai la sua mano.

“Stai facendo il testardo di proposito o è una tua caratteristica naturale?” chiese Malcolm, nella voce una leggera irritazione mascherata dal tono cordiale.

“Non sono…”

Charles alzò entrambe le sopracciglia.

“Sono testardo di proposito,” ammisi piano.

“Bene.” Malcolm mi consegnò i vestiti e gli asciugamani ancora una volta. “Che tu ci creda o no, non tutti su questa terra ti mollerebbero da solo su una pista da ballo. Vai a ripulirti.”

Annuii. “Grazie.”

Mi sorrisero entrambi e io mi diressi verso il gazebo mentre loro rientravano in casa.

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